Professione: un sottoprodotto della teoria di Raffalello Lupi

01.09.2012 00:00

Le riflessioni di ricerca umanistico-sociale, giuridica, aziendalistica ed economica, hanno purtroppo un valore professionale. Dico "purtroppo" perchè non dovrebbe essere così, o dovrebbe esserlo molto meno. Il disorientamento imperante in diritto tributario, in gran parte imputabile a una grande confusione teorica, crea grandi opportunità professionali su questioni che in altri paesi non nascerebbero , o verrebbero risolte con una telefonata. La schizofrenia sociale crea professione, logorante, ma ben remunerata quando si tratta di ricchezza palese, relative alle aziende attraverso cui avviene la tassazione. La consulenza è quindi, per Raffaello Lupi un sottoprodotto dell'attività di studio, anche se essere definito "uno studioso" non è esaltante in ambito professionale, visto il discredito di cui gli studiosi stessi si sono coperti in materia. Diciamo che il titolo di professore nel curriculum del professionista è importante,ma la qualifica di studioso è un handicap. Le aziende sono "operative" e vogliono professori che abbiano lustro, ma siano pratici: E pratici lo sono, in genere, nella massimizzazione del proprio fatturato, vampirizzando da buoni venditori, un azienda che è anche venditrice. Ma i consulenti vendono spesso chiacchiere, complicazioni di problemi semplici, cause che pendono e che rendono, specie quando sono "macchine da soldi" e sanno che i clienti possono pagare. Per questo non mi piace pensare di essere "un professionista", aggettivo sempre più ripetuto man mano che i contenuti del lavoro si banalizzano e diventano alla portata di tutti, fino all'orgia di riferimenti alla professionalità per gli agenti immobiliari. E' legittimo che il professionista "avori per soldi", sia un pratico, non un sistematizzatore, un uomo di riflessione, e consideri pratico tutto ciò dove si stacca una parcella , e teorico tutto il resto. Per lo studioso, invece, la professione serve a capire, e a farsi pagare, ma senza esagerare, altrimenti ci si logora sulle urgenze e si smette di riflettere, di creare modelli teorici. Lo studioso titpico è il consulenti dei consulenti, impegnati in una difficile quotidiana gestione di incombenze, ipotesi, seccature, scadenze, preoccupazioni, routine. L'assistenza diretta a grandi organizzazioni di impresa è solo una apparente eccezione, in quanto tali entità, al loro interno, già hanno personale qualificato, in grado di svolgere l'attività di routine. A questo punto è possibile, per i funzionari delle grandi società, rivolgersi direttamente agli studiosi, senza la mediazione dei consulenti. Ma anche la consulenza ha risentito del fallimento del diritto tributario, e pullulano i falsi problemi, le esagerazioni di piccoli problemi e le sottovalutazioni di grandi. Ma il professionista va dove lo porta il cliente, se vede che egli ha una preoccupazione, cerca di tenerlo sulla corda, di fargli capire l'importanza del suo intervento. E' del tutto legittimo, ma lo dovrebbe fare solo lavori utili, quelli che aiutano la convivenza sociale a superare la schizofrenia tipica della materia fiscale. Evito di trasformare l'attività professionale in una attività di relazioni pubbliche, con una qualche appendice tecnica. Ma il tentativo di spiegare i criteri di ragionamento delle istituzioni è fondamentale.